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Origini della processione del Venerdì Santo
Nella seconda metà del XVIII secolo la Congrega mise a punto
una devozione che rimarrà caratteristica ed identificante, anche
se forse non era stata avviata dalla Congrega stessa, quella cioè della
processione del Venerdì Santo al Calvario.
L’iniziativa era nata in modo del tutto autonomo rispetto alla
Congrega. Era stato, infatti, il signor Giuseppe Gervasi, con “istrumento” del
14 marzo 1745, ad istituire la “cappellania laicale” della
Santa Croce, corrispondente appunto alla cappella sul “monte” Calvario.
Che tale iniziativa, però, non partisse da zero, è dimostrato
dal suddetto documento sulla reliquia del “Legno della Croce”,
risalente come si è detto al 1735, e quindi testimoniante
una devozione ben anteriore.
Così, nella seconda metà del XVIII secolo si sviluppò la
processione al Calvario e il ruolo della Congrega divenne presto di
primo piano. Dopo una notte di veglia nella chiesa dell’Immacolata
Concezione, quando ancora non erano apparse le prime luci del mattino,
partiva la processione. Al seguito di un Crocifisso con un panno violaceo,
sfilavano i “fratielli” col saio bianco. Sul cappuccio,
ugualmente bianco, era appoggiata la corona di spine. Invece della
cintura v’era una fune, che aveva la funzione non soltanto di
cingere il saio, ma anche di darsi la “risciplina” (frustate).
L’azione comunicava ai partecipanti una commozione straordinaria,
in quanto tutta la scena, già drammatica di per sé,
era accompagnata dal rullo lento e mesto di un tamburo.
Alcuni fratelli, oltre al saio e alla corona di spine, recavano sulle
spalle delle pesanti croci di legno. In altre parole, la partecipazione
era tale che non pochi si sforzavano di ricreare con realismo l’atmosfera
che si respirava fra quelli che seguirono Gesù sul vero Golgota.
E, mentre si saliva la via scoscesa del Calvario, i fratelli cantavano
una nenia triste, in parte meditazione, in parte invocazione. Altri
partecipanti alla processione portavano gli strumenti della Passione,
quindi avanzava la statua dell’Addolorata, seguita da una fila
di donne col viso coperto dal “pannitto” nero.
Giunti sul sagrato della chiesetta, il padre spirituale della Congrega
prendeva la parola e riandava col pensiero alla grande tragedia redentrice
dell’umanità, a quel Golgota universale di cui il Calvario
di Calitri, nel suo piccolo, è un efficace attualizzazione.
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