Il
Matrimonio - (U sp'salizij)
“ A
Parlata”
Quando un giovane adocchiava una ragazza difficilmente si faceva
personalmente avanti. Le proposte di fidanzamento venivano
fatte tramite terze persone: un’amica o qualche parente adulto
della ragazza.
Questi portava il messaggio (a masciata) alla giovane e poi ne
portava la risposta al pretendente. Dopo un breve periodo di
fidanzamento la ragazza ne informava il padre.
Se il padre dava il suo consenso il giovane veniva ammesso
a frequentare la casa della fidanzata sempre in presenza
di qualcuno
di famiglia.
In prossimità della data stabilita per il matrimonio, presso
la casa della ragazza, aveva luogo l’incontro tra
le due famiglie, che spesso si risolveva in una vera e
propria
contrattazione
(a parlata).
Per il ragazzo la dote era rappresentata soprattutto dalla
proprietà terriera
o da un certo numero di animali da allevamento, mentre i genitori
della ragazza fornivano il “corredo”, la cui composizione
era concordata dalle due madri, che conoscevano il valore del tovagliato.
Non sempre la “Parlata” aveva buon esito; quando i
genitori non si mettevano d’accordo, si mandava tutto all’aria,
con strascichi polemici, accuse reciproche che non tardavano a
fare il giro del paese. Se, viceversa, si raggiungeva l’accordo,
la serata si concludeva con una cena offerta dalla famiglia
della sposa, durante la quale il vino non si risparmiava.
"A
S’r’nata"
Dopo aver avuto risposta affermativa dalla desiderata sposa e dalla
sua famiglia il pretendente dedicava alla giovane appassionate
serenate.
Insieme ai suoi amici, infervorati da qualche bicchiere di buon
vino, si recavano dinanzi la casa della sposa, cantando improvvisati
versi amorosi (i s’nett’).
In tutti i canti d’amore veniva messa in evidenza la bellezza,
gli attributi femminili e le virtù della ragazza.
Nel caso in cui il pretendente fosse stato bruscamente respinto
i canti della serenata diventavano canti di odio (r’ n’giurij)
ed erano volti a denigrare la giovane e la sua famiglia.
Qui la bellezza dell’amata veniva sommersa da apprezzamenti
volgari, le virtù sostituite dai difetti veri o presunti.
L’eco dei canti di ingiurie si diffondeva fra i vicoli del
paese e il giorno dopo era argomento di pettegolezzo fra la gente
del vicinato.
“
L’Appriezz’ r li pann’”
Una volta definiti i particolari relativi alla dote che ciascuno
dei futuri sposi doveva mettere a disposizione si fissava la data
delle nozze.
Qualche giorno prima del matrimonio si procedeva alla stima del
corredo della sposa (appriezz’ r li pann’) ed alla
verifica che lo stesso fosse conforme a quanto stabilito nella “parlata”.
Il tutto si svolgeva a casa della sposa, in presenza delle donne
di entrambe le famiglie e di quelle del vicinato.
Era inoltre presente
la sarta che aveva confezionati i capi di abbigliamento. Il corredo,
composto da lenzuola, coperte, asciugamani, biancheria intima ecc…,
era posto in bella mostra in ogni angolo della casa e la sarta,
dopo aver contato ad alta voce i pezzi che lo componevano, ne dichiarava
il valore e li annotava nella lista che, una volta completata e
firmata, veniva conservata dalla madre della sposa. Un altro esemplare
della lista veniva consegnato allo sposo. A volte succedeva che
il numero dei pezzi non corrispondeva a quanto pattuito nella “parlata”,
ed allora si scatenava fra le mamme degli sposi una vera e propria
lite che nella maggior parte dei casi si risolveva con rinuncia
alle pretese da una e dall’altra parte.
Dopo aver consumato un breve rinfresco a base di dolci (i cumpl’ment’),
e sistemati i “panni” in cesti, si provvedeva a portare
il corredo alla casa degli sposi.
Le donne, con i cesti in testa, formavano un lungo corteo che attraversando
le vie principali del paese, arrivava alla casa degli sposi.
Dopo aver sistemato la biancheria si preparava con cura il letto
nuziale dopo di che c’era un altro piccolo intrattenimento
sempre a base di dolci e liquori.
“
U Sp’salizij“
In passato i matrimoni venivano celebrati durante il periodo autunnale
ed invernale quando i lavori agricoli erano fermi. In questo arco
di tempo c’erano dei giorni e delle ricorrenze durante i
quali i matrimoni non avevano luogo: il martedì ed il venerdì perché considerati
sfortunati, nel mese di novembre, per rispetto ai defunti, durante
la quaresima, periodo di penitenza.
Il giorno delle nozze lo sposo, insieme alla propria famiglia ed
agli amici si recava a prendere la sposa, che aspettava con i propri
genitori l’arrivo dei parenti ed amici per avviarsi in chiesa.
Il corteo nuziale era guidato dalla sposa accompagnata da un parente
o dal compare d’anello.
Dopo la cerimonia religiosa, che
in genere era molto breve, si banchettava con del buon vino, un
primo piatto a base di “cannazze”, una portata di carne
(agnello, capretto o involtino: “a vrasciola”) e frutta
secca. La festa proseguiva con canti e balli fino a tarda notte.
Quando gli sposi andavano a letto venivano in genere svegliati
dagli amici dello sposo che gli facevano la serenata. Le famiglie
degli sposi erano così costrette ad invitare gli amici i
quali restavano a cenare e a gozzovigliare fino all’alba.
In tempi remoti gli
amici dello sposo avevano il compito di accompagnare gli sposi
e di fare loro la guardia (guardà la zita) per
tutta la notte per evitare a chiunque di fare “lu straniesc’”,
che era per lo più uno scherzo, talvolta di cattivo gusto
e anche crudele, che veniva fatto da buontemponi e consisteva nell’eludere
la vigilanza dei guardiani (cumpagn’ r li zit’) e spargere
davanti alla porta della casa degli sposi paglia, ossa e corna
di animali o qualche carogna. Di norma lo scherzo veniva accettato
dallo sposo, ma in alcuni casi questi diventavano vere e proprie
offese.
|