I Giochi - (I sciuoc')

Fino a un ventennio fa la strada era il luogo d’incontro e di svago dei bambini. Essi potevano uscire da soli e giocare per strada senza pericolo. Se un genitore si assentava i bambini venivano controllati dalla gente del vicinato. Normalmente le donne più anziane stavano fuori, davanti alla porta a lavorare all’uncinetto, a fare la calza ai ferri o a ricamare. Prima il rapporto che legava le persone che abitavano nella stessa strada (vicinato) era molto forte; di sera, sia d’inverno, davanti al focolare, sia d’estate, all’aria aperta seduti sulle scale, la gente del vicinato si riuniva e passava il tempo raccontando storie, commentando i fatti accaduti in paese durante la giornata.

I bambini ascoltavano con attenzione e con un po’ di paura le storie raccontate dagli anziani (“La criatura r la Cupa”, lu Scazzamaurieggh’”, “r Masciar’,….). Molti dei giochi che erano praticati dai bambini risalgono ai tempi dell’Antica Roma. I pochi giocattoli erano quasi tutti autocostruiti, alla meglio,.dai bambini: la bambola (pupa) e “u r’tieggh’” per le femminucce; la cerbottana (scupp’ttuol’), il flato (fraul’), la palla di stoffa (palla r’ pezza), le nacchere (r’ castagnol’), la trottola (curl’) costruita dal falegname, il carretto (‘U carr’tieggh’), per i maschietti.

Molte volte i bambini si divertivano con gli oggetti che trovavano in giro.
Portavano nelle tasche dei pantaloni dei veri “tesori”:
- dei pennini “spuntati”, che si chiamavano “sciancati”;
- le “brecce”, cocci di ceramica smaltata che venivano barattati (cinque di questi pezzi avevano il valore di un pennino “spuntato”);
- dei soldini: cinque centesimi (bisisco), dieci centesimi (pacchiola) e nichel (quattro soldi), conservati in delle scatolette di latta;
- l’astragalo, l’osso della zampa dell’agnello, per giocare ai dadi;
- le “galle”, che si raccoglievano sulle querce, e si facevano mantenere in equilibrio su cannucce di legno.

Quando i bambini correvano questi “tesori“, nelle tasche, facevano tanto rumore.
Numerosi erano i giochi collettivi: mazza e piuz’, accuvatur’ (nascondino), spacca maton’, banca cavalier’, s’auza carvon’ (cavallina), a s’tt’mana (settimana), lu cucuzzar’, ecc…

‘U curl’
‘ U curl’ era una trottola di legno, aveva la forma di un cuneo e terminava con una punta di ferro. Per farlo girare si avvolgeva intorno alla parte conica un laccio (‘u lazz’), e tenuto stretto un capo dello stesso si lanciava con forza. Srotolandosi il laccio imprimeva al curl’ un velocissimo movimento rotatorio.
I ragazzi sfidavano la loro abilità nell’uso del “curl’” in diversi modi: veniva calcolato il tempo che riusciva a girare sullo stesso punto (la “fitta”), e durante il quale il movimento era così veloce che la trottola sembrava addirittura immobile, oppure si contavano le “botte” che due curl si davano mentre giravano (“passapunton”). Al "curl" del perdente venivano inflitte delle “cech” di penitenza (cicatrici sulla sommità del curl’ per deturparlo).

U r’tieggh’
U’ r’tieggh’ serviva per realizzare delle trecce di lana o di cotone. Queste trecce venivano utilizzate per fare “u lazz’” per “u curl”, oppure, se venivano cucite insieme, si potevano realizzare sciarpe e coperte.
Per costruire ‘u r’tieggh’ serviva un vecchio rocchetto di legno e dei chiodini: intorno a questi chiodini veniva avvolto un filo di lana o di cotone per realizzare delle maglie.
Con l’uncinetto si faceva cadere il filo per ottenere una nuova maglia, e intanto la treccia si allungava e si tirava dal foro inferiore del rocchetto. Era un passatempo non solo delle bambine, ma anche dei ragazzini.

‘U pup’l’
Lu pup' l era una bambola costruita in casa, utilizzando materiale di uso comune: vecchi mestoli, fazzoletti, pezzi di stoffa, gomitoli di lana inutilizzata, vecchie magliette per neonati, ed eventualmente per abbellire la bambola degli accessori fatti ad uncinetto.
Le bambine custodivano gelosamente il proprio bambolotto. Per tradizione le bambine il 24 giugno, giorno di S. Giovanni, portavano il loro “pup'l” nella chiesa di S. Michele per battezzarlo.

Mazza e pihuz’
Il gioco di mazza e piuz’ consisteva nel colpire con un bastone (mazza), a più riprese, un pezzetto di legno (pihuz’) appuntito agli estremi. Il pihuz’ veniva messo a terra e colpito con la mazza ad una delle estremità; una volta colpito il pihuz’ si innalzava in aria roteando pronto per essere colpito una seconda volta e scagliato il più lontano possibile.

Banca cavalier’
Banca cavalier’ era un gioco al quale partecipavano minimo sette ragazzi. Un ragazzo (a mamma), che aveva il compito di controllare lo svolgimento del gioco facendo da arbitro, stava seduto su uno scalino mentre gli altri si dividevano in due squadre.
Si faceva la conta (tuocc’) e chi perdeva andava “sotto”: i ragazzi si mettevano a schiena curva uno dietro l’altro, in modo da formare un corpo unico. Il primo, che di norma era il più debole, poggiava la testa sulle ginocchia della “mamma”.
A turno gli altri ragazzi saltavano a cavalcioni sulla schiena dei avversari posti in fila cercando di sistemarsi il più avanti possibile.
Una volta che tutti si erano disposti sulla schiena degli avversari (a volte non si riusciva, perché il primo non era andato troppo avanti, e si perdeva la partita) la “mamma” controllava se qualcuno toccava con i piedi per terra.
Il gioco terminava quando i ragazzi che erano “sotto”, non avendo più la forza di sostenere gli altri compagni, gridavano “Banca”, o quando qualcuno dei ragazzi, che erano “sopra”, poggiava un piede a terra. Nel primo caso si ripeteva il gioco con lo stesso ordine, nel secondo caso venivano invertite le posizioni.

Spacca maton’
“U spacca maton” si basava sulla capacità di far cadere le monete il più possibile al centro di una mattonella. Era praticato dai ragazzi un po’ più grandi, e spesso diventava un vero e proprio gioco d’azzardo.

La Cavallina
Il gioco della cavallina (s’auza carvon o Un’ m’bonta a luna) consisteva nel saltare su un compagno, che nel frattempo si era piegato con le mani appoggiate alle caviglie, e contemporaneamente eseguire un comando e recitando una filastrocca.
Alcuni dei comandi da eseguire saltando sulla cavallina e recitando una filastrocca erano:
• atterrare con i piedi incrociati (sett’ piroett’),
• dare un pugno sulla schiena (ott’ ron casciott’)
• mettere un fazzoletto sulla cavallina (nov’ t’ mett’ la varda)
• al turno successivo ognuno si riprendeva il proprio fazzoletto (diec’ t’ la lev’)
Chi non eseguiva questi comandi ben precisi doveva prendere il posto del compagno e fare la cavallina.

Lu cucuzzar
"Lu cucuzzar’” era un gioco al quale potevano partecipare un numero illimitato di giocatori; si sceglieva un capo, che assegnava ad ogni giocatore un numero, che ciascuno doveva ricordare.
Il capo diceva: “So giut n’do lu’ cucuzzar e agg’ tr’vat …(e pronunciava un numero a piacere) cucozz’ mancant’.”
A questo punto il bambino a cui era stato assegnato il numero che aveva pronunciato il capo rispondeva: “P’cchè probbia …(e pronunciava il numero detto dal capo) ?”
Il capo aggiungeva: “E quant’ s’no?”
Il bambino interpellato rispondeva un numero a suo piacere e il gioco continuava con il bambino che era stato chiamato e che doveva rispondere con la stessa filastrocca; in questo modo tutti i bambini a turno venivano chiamati.
Se un bambino chiamato non rispondeva subito veniva eliminato; gli altri allora dovevano ricordare il numero che era stato eliminato, altrimenti, se lo pronunciavano, venivano eliminati anche loro.

A S’tt’mana
Prima di iniziare si doveva disegnare, sul terreno di gioco, la “settimana” che era composta da sette caselle numerate e i giocatori dovevano munirsi di una pietra piatta e liscia.
A turno i giocatori tiravano la propria pietra nelle caselle, iniziando dalla prima, facendo attenzione a non farla uscire o farla andare sulla linea.
Poi veniva eseguito il percorso sulle caselle in modi diversi: con gli occhi chiusi, con una sola gamba, con la pietra su un dito, con la pietra sulla testa, sul naso e sulla scarpa.
Quando un giocatore aveva esaurito tutto il percorso aveva diritto ad entrare in possesso di una casella e gli altri giocatori, per entrarvi, dovevano chiedere il permesso.
Vinceva chi conquista il maggior numero di caselle.

Altri giochi
- “Pal’ tis’": fare la verticale a testa in giù;
- “Scazz’la tromm’la": capriola;
- “Accuvatur”: nascondino o rimpiattino;
- “Botta c’cata”: mosca cieca;
- "Gioco del cerchio": consiste nel far girare un cerchio di ferro spinto da una bacchetta lungo la strada;
- "La Ionna”: fionda per il lancio di piccole pietre;
- “R’ stampeggh’”: trampoli o staffe rudimentali fatti con rami di alberi opportunamente scelti;
- Gioco dell’anello: indovinare chi possiede l’anello nelle mani giunte dei ragazzi;
- “Fierr- f’rrazz’”: toccare oggetti di ferro (reti metalliche, anelli, cancellate, maniglioni di porte, ecc…) evitando di essere toccati dalla “mamma” durante il passaggio da un oggetto all’altro;
- “Stangagghiucc’”: saltare con un solo piede;
- “Scardacopp’l’”: evitare di calpestare i berretti stesi a terra saltando con un solo piede;
- “Bambaliss’”: altalena ricavata da una corda legata ad “U” ad un ramo forte di un grosso albero;
- “Zichete zachete”: altalena orizzontale;
- “A fa la guerra”: giocare alla guerra.